Onorevoli Colleghi! - L'impegno relativo alle spese per la difesa costituisce un capitolo importante del bilancio nazionale su cui occorre concentrare la massima attenzione nel rispetto dei princìpi costituzionali che presiedono alla difesa e alla sicurezza nazionali. Tra tutti i dicasteri, il Ministero della difesa è certamente quello che spende per l'acquisto di beni e di servizi la cifra in assoluto più consistente di stanziamenti di tutto il settore statale.
      Anche nella spesa il dicastero della difesa esprime, dunque, una sua specificità che, associata alla speciale attenzione che deve essere posta alle scelte in materia di sicurezza nazionale per le implicazioni interne e internazionali, obbliga il legislatore a individuare procedure affatto peculiari per il controllo degli stanziamenti destinati alla difesa.
      Così è in tutti i Paesi democratici e così dovrebbe essere anche in Italia per compensare in qualche modo quella mancanza di trasparenza che sembra connaturata alla funzione «difesa», ma che spesso è un retaggio in cui si intrecciano per lo più ragioni psicologiche con concezioni vetuste della sicurezza dello Stato.
      In molti Paesi le cose stanno diversamente. Tra i tanti esempi possibili di controllo «stretto» del legislatore sulla spesa per la difesa possiamo citare il caso statunitense, dove ogni singola voce di

 

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spesa è analizzata nel dettaglio, dai sistemi d'arma più complessi ai lavori infrastrutturali nella più sperduta base statunitense.
      Ai lavori infrastrutturali statunitensi, ad esempio, sono dedicati ogni anno almeno quattro volumi di atti parlamentari, ciascuno di almeno un migliaio di pagine, mentre decine sono quelli contenenti i materiali relativi alle autorizzazioni di spesa per le restanti voci di bilancio.
      E, ancora, la Francia, dove la «loi de programmation militaire» è una realtà che risale addirittura al 1964. Le vicende di questa legge meriterebbero una riflessione più approfondita al fine di ricavarne utili dati di esperienza. Ai nostri fini basterà ricordare che la «loi de programmation militaire» francese abbraccia un arco di tempo di sei anni, prevede un riallineamento a metà periodo, relazioni annuali di verifica della sua attuazione e determina nel dettaglio tetti di spesa e quantità di sistemi d'arma da acquisire per ciascun esercizio finanziario.
      Attualmente, l'intervento del Parlamento italiano sul processo di acquisizione dei sistemi d'arma si limita a pareri espressi su singoli programmi in base alla cosiddetta «legge Giacchè» (legge 4 ottobre 1988, n. 436). Come è ben noto, essendo il problema stato sollevato molte volte in sede di discussione di tali pareri, il processo di conoscenza e di partecipazione del Parlamento è in tale modo fortemente condizionato, in parte per la natura stessa dello strumento utilizzato e in parte per il ritardo con cui il Ministro della difesa sottopone questi pareri all'esame del Parlamento.
      Uno degli obiettivi della legge n. 436 del 1988 - quello del controllo - è sostanzialmente fallito per l'inadeguatezza degli strumenti parlamentari previsti da tale legge e per l'evasività del Governo nel fornire informazioni al Parlamento.
      Da un lato, sono infatti sottoposte alle Commissioni parlamentari richieste di pareri così scarne in termini di documentazione e così scarsamente motivate da non consentire ai parlamentari di farsi un'opinione compiuta dei programmi sottoposti alla loro attenzione: un problema solo teoricamente superabile per la nota e organica carenza di strumenti di analisi propri a disposizione del Parlamento e non certo ovviabile con la richiesta di documentazione aggiuntiva al Ministero della difesa.
      Dall'altro lato, anche l'informazione, che avrebbe dovuto ricevere un impulso sostanziale con l'attuazione della legge n. 436 del 1988, di fatto si è ulteriormente ridotta. Per effetto di tale legge, infatti, le attività dei comitati previsti dalle leggi promozionali della metà degli anni settanta, ma che esprimevano pareri anche su programmi finanziati con il bilancio ordinario, sono cessate e le relazioni sui programmi di rinnovamento e di manutenzione previste dalla medesima legge n. 436 del 1988 si riducono a generici elenchi, molto disomogenei a seconda della Forza armata che li predispone. Segno che i vari Ministri della difesa non sono stati capaci di imporre un comportamento uniforme da parte delle diverse Forze armate neppure per quanto riguarda l'informazione al Parlamento.
      La richiesta del parere per singolo programma non dà al Parlamento la possibilità di valutare il complesso degli approvvigionamenti destinati alle Forze armate, né tantomeno di influire, come invece sarebbe utile e necessario, nella fase programmatoria degli stessi. Inoltre, è molto frequente la pratica di sottoporre a parere l'esecuzione di progetti già in avanzata fase di realizzazione, il che rende chiaramente pressoché nulla la possibilità di intervento e di decisione parlamentare, non potendo lo stesso Parlamento evidentemente bloccare attività produttive o di ricerca su cui sono stati già investiti fondi cospicui o sono state addirittura avviate linee produttive.
      Ma quello che manca attualmente è la possibilità per il Parlamento di valutare nella sua interezza e nei suoi prevedibili sviluppi il processo di acquisizione di spesa per i sistemi d'arma destinati alla difesa nazionale. Esigenza, invece, fortemente sentita per la ben nota complessità del processo acquisitorio che comporta lo sviluppo di programmi su periodi che
 

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possono arrivare al quarto di secolo, impegnando, dunque, risorse per periodi lunghissimi senza che vi possa essere, oggi, una precisa consapevolezza da parte del legislatore, al quale sono presentate per lo più «fette» di programmi che non consentono di avere una visione complessiva. Inoltre, la discussione per singolo programma non dà al legislatore la possibilità di avere l'esatta percezione degli impegni globali che si vanno assumendo e delle conseguenti ricadute sul complesso delle risorse finanziarie impegnate. Più volte da parte di vari Ministri della difesa sono venuti richiami all'esigenza di fornire una copertura economica a programmi assunti e a contratti stipulati senza che al Parlamento fosse mai stato fornito il quadro d'insieme della spesa che si stava formando, approvando di volta in volta singoli programmi.
      Sarebbe un errore ritenere che una maggiore incisività del controllo parlamentare sulla spesa militare si traduca in una penalizzazione della funzione della difesa, oppure che possa significare una sorta di sfiducia «originaria» verso chi questa spesa gestisce. Tutt'altro. Un maggiore e più efficace controllo parlamentare significa un diverso e più penetrante coinvolgimento del legislatore nelle problematiche della difesa e, in ultima analisi, una maggiore assunzione di responsabilità complessiva del Paese.
      Si è spesso criticato un preteso disimpegno del Parlamento in merito alle tematiche della difesa, ma a un Parlamento che non è informato - come avviene oggi - non si può chiedere di assumersi responsabilità che non gli possono né gli devono appartenere. In realtà il «modello» di impegno richiesto dai vertici ministeriali e delle Forze armate ai parlamentari sembra prevedere la pura e semplice sanzione formale di decisioni che sono assunte altrove: il che costituisce un atteggiamento «a scatola chiusa» incompatibile con la funzione del legislatore.
      Sono dunque tre gli scopi della proposta di legge che sottoponiamo alla vostra attenzione.
      Il primo è l'introduzione di una pianificazione vincolante che serva come quadro di riferimento operativo e normativo per tutti.
      Il secondo è l'estensione della capacità di controllo e di indirizzo del Parlamento nei confronti del sistema della difesa.
      Il terzo è una maggiore corresponsabilizzazione del Parlamento medesimo nelle scelte per la difesa e, di conseguenza, un ampliamento delle basi di certezza delle scelte operate.
      Una pianificazione sessennale con una verifica («legge di rimodulazione») a metà periodo è sembrata quella più idonea, da un lato, a contemperare le esigenze di certezza del quadro di riferimento per gli approvvigionamenti e, dall'altro, a dare relativa flessibilità alla programmazione militare, in relazione al mutare rapido degli scenari internazionali. Abbiamo adottato questa soluzione ispirandoci all'esperienza francese.
      La sanzione parlamentare è prevista esclusivamente per i programmi che nel complesso prevedano un investimento superiore a 10 milioni di euro, a sottolineare l'intenzione di un controllo che si concentra essenzialmente sulle acquisizioni più significative dal punto di vista della spesa e del significato funzionale, lasciando agli organi ministeriali la definizione dei programmi minori.
      Il ruolo parlamentare resta dunque essenzialmente di controllo, anche se quello che noi prefiguriamo è un controllo più incisivo, capace di entrare nel merito delle singole scelte, restando ovviamente riservata all'esecutivo la proposta dei singoli programmi da inserire nella programmazione generale. La funzione parlamentare dovrebbe essere, cioè, in qualche modo di «regolazione», costringendo gli organi competenti della difesa a definire a scadenze precise le proprie scelte senza possibilità di rinvii indefiniti, e nello stesso tempo impegna il Parlamento a fissare con precisione e in anticipo le risorse da destinare alla funzione della difesa, che non può, per la peculiarità dello strumento militare, per la complessità dei sistemi d'arma e per la relativa rigidità
 

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degli ordinamenti, essere condizionata oltre certi limiti e senza gravi ripercussioni dalle contingenze economiche.
      Il meccanismo legislativo che noi proponiamo consentirà di contemperare meglio le due esigenze - in qualche modo conflittuali - della certezza delle risorse allocate alla funzione della difesa in relazione ai programmi da portare a termine e del contenimento della spesa per le Forze armate ai livelli più bassi possibili, compatibilmente con il pieno assolvimento dei loro compiti costituzionali.
      È per questo motivo che con la legge di programmazione per la difesa il Presidente del Consiglio dei ministri presenta al Parlamento, che ne discute, una relazione sulle linee di sviluppo della politica di sicurezza e di difesa del Paese, relazione che fa parte integrante della stessa legge di programmazione. Nessuna programmazione avrebbe senso se prima non fossero definiti i cardini politici delle missioni che le Forze armate devono assolvere in base alle norme costituzionali e agli impegni assunti, con particolare riguardo a quelli derivanti dalla nostra appartenenza all'Unione europea e a quelli scaturenti dalle decisioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
      Il momento di confronto parlamentare che scaturisce dalla discussione di un documento politico pubblico e strutturato è particolarmente importante per creare il necessario consenso nazionale attorno a scelte spesso controverse e difficili, come quelle afferenti alla difesa politica e militare del Paese. Scelte che non poche volte, anche in anni recenti, hanno creato forti divisioni tra le forze politiche, anche appartenenti alla stessa maggioranza, e nel Paese.
      Con la presente proposta di legge immaginiamo un sistema di rapporti tra esecutivo e Parlamento che corresponsabilizzi maggiormente entrambi i protagonisti, togliendo forse un po' alla sostanziale e totale autonomia programmatoria della difesa e chiedendo in cambio al Parlamento un più preciso impegno nella definizione delle risorse allocabili, in funzione dei programmi che con quelle risorse sono realizzabili e delle linee politiche che gli stessi sottendono.
 

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